La panca piana - Biomeccanica e programmazione - Analisi e integrazione della panca paralimpica negli atleti normodotati
Francesco Riccetti
La panca piana
Biomeccanica e programmazione
Analisi e integrazione della panca paralimpica negli
atleti normodotati
Prefazione.
Alzi la mano
chi di voi frequentatori di palestre non abbia mai provato a fare qualche serie
di panca piana! E quanti di voi hanno mai provato a toccare il petto con il
bilanciere? Quanti di voi hanno mai allenato la panca non il lunedì? E quanti
coraggiosi ci sono che non abbiamo mai allenato la panca insieme ai bicipiti?
Ma soprattutto … quanti hanno mai formulato la frase “ma te quanto hai di panca?”
La panca piana
è l’esercizio principe di ogni frequentatore di palestre, a giro si vedono
esecuzioni che fanno rabbrividire, schiene appiattite, spinte scoordinate,
piedi che ballano, pettorali inesistenti, deltoidi iper sviluppati, cuffie dei
rotatori che rotolano per gli spogliatoi ma per fortuna si vedono anche tante
esecuzioni corrette sia di atleti che di neofiti frequentatori che hanno la
fortuna (immensa) di essere seguiti da un bravo personal trainer.
Il tema più
caldo nel break barretta proteica post workout è sicuramente la tecnica da
utilizzare nella panca piana e la differenza tra la panca da bodybuilder e
quella da powerlifter. Per fortuna, come dicevo prima, personal trainer
preparati ce ne sono e forse nel giro di altri 10 anni sarà possibile eliminare totalmente l’ignoranza tecnica dal
mondo del fitness.
La panca è una
sola ed è quella del powerlifting, se proprio vogliamo attribuirgli una
paternità, perché in questo genere di gare vi sono delle regole rigide, che
standardizzano questo gesto atletico in modo tale da avere un metro di paragone
uguale per tutti per poter giudicare la validità o meno dell’alzata.
La lamentela
più in voga in sala pesi è “con la panca
non sento lavorare il petto”. Mai affermazione fu più vera e più
esplicativa in rapporto al più grande problema della panca piana ovvero il set
up scapolare. Un set up errato porta inevitabilmente a far diventare la panca
un esercizio mirato per il deltoide anteriore e per il tricipite poiché le scapole
scappano “fuori”, la schiena perde tensione e le spalle salgono su, verso il
bilanciere.
Biomeccanica della panca piana.
La panca
piana, probabilmente, rispetto alle altre due power lift (squat e stacco da
terra) è l’esercizio più facile in assoluto perché è quello più “comodo” e più
“convenzionale”. Nessuno si siede seguendo uno schema motorio come quello dello
squat ne tanto meno nessuno alza un vaso con la tecnica dello stacco da terra
(anche se dovrebbe). La panca è una cosa diversa basta provare a prendere un
bastone a braccia distese davanti a noi e portarlo verso il petto, un movimento
semplicissimo che sarebbe in grado di fare anche una signora di 80 anni
sdraiata su una panca in mezzo a 30 powerlifter bruti, sudati e visibilmente
affamati.
Però intorno
alla panca piana ruota una ignoranza mostruosa, sia perché si vedono 100kg come
un carico incredibile da raggiungere, sia perché si vedono delle tecniche da
far venire il mal di stomaco, sia perché “la
panca fa infortunare le spalle”.
“Bene, ma non
benissimo” come recitava un tormentone estivo, andiamo per passi e vediamo il
perché di cotanta ignoranza regna imperterrita tra una pillola e l’altra negli
spogliatoi di tutte le palestre del mondo.
Per evitare una trattazione di
infinite pagine e disegni vediamo di riassumere e parlare dei punti chiave:
Ø
Errori comuni
Ø
Dove mettere i piedi
Ø
Dove mettere le mani
Ø
Set Up Panca e adduzione delle scapole.
Errori comuni.
Asimmetria.
Uno degli errori comuni è vedere un bilanciere che sale in maniera non
simmetrica, se all’inizio della carriera da “panchista” questa modalità di
salire prima con un braccio e poi con un altro offre un certo vantaggio
meccanico è, oltre che orribile da vedere, molto svantaggiosa per tirare su
alti carichi. Se dopo mesi, anni di allenamento si persegue ad avere questo
difetto bisogna smettere di fare panca e reiniziare da capo per reimparare il
movimento dall’inizio. Assolutamente.
Tensione
continua. Troviamo poi chi non chiude le alzate con il blocco
articolare del gomito ma che si ferma 10-15cm prima per creare la cosi detta
tensione continua che impenna l’incremento di acido lattico. È una tecnica da
body builder ma va saputa usare e va contestualizzata in una fase di
programmazione ben precisa e specifica anche per non disimparare la chiusura dell’alzata che è fondamentale in una gara.
Nessun
fermo al petto. Ancora peggio è chi si ferma a pochi centimetri dal
petto! 2cm, 5cm, 10cm…prima ti fermi in fase eccentrica e più carico puoi
mettere sul bilanciere riempiendo l’ego ma rendendo l’esercizio totalmente inutile
ai fini dello sviluppo della forza massima (e anche dell’ipertrofia del gran
pettorale). I fermi più alti del petto si posso inserire in una programmazione
ma anche questi vanno contestualizzati ed eseguiti in modo che siano
replicabili sempre allo stesso modo utilizzando ad esempio i pin o le board di diverse dimensioni.
Rimbalzo.
Una delle più gettonate però è probabilmente la panca con il rimbalzo al petto
dove il coraggioso atleta si gonfia il petto di aria e sfruttando la
flessibilità delle costole usa la sua cassa toracica come tappeto elastico per
far risalire il bilanciere evitando lo sticking point al fermo. Con questa
avanzatissima tecnica di sopravvivenza si riesce anche a caricare 30kg in più
rispetto al proprio reale massimale ma le probabilità di non rimanere menomati
scendono vertiginosamente.
La
sculata. Errore che spesso esce fuori anche agli atleti più avanzati
sotto un carico massimale. È un aiuto che viene quasi naturale quando si è
sotto un carico vicinissimo al 100% perché alzare il sedere determina una
rotazione del torace che fa cambiare l’assetto biomeccanico delle leve e
ritrovandosi ad avere il pettorale con una trazione migliore. Ovviamente la
sculata è esclusa da qualunque regolamento di gare di panca proprio perché
aiuta l’atleta nell’alzata.
L’aiuto
dello spotter. Credere che mettere due dita sotto il bilanciere
dell’amico non comporti un grande vantaggio è completamente sbagliato. Gli
“aiutini” fatti con i semplici indici o con il palmo della mano valgono dai 5
ai 30kg. Quindi lo spotter serve per una maggiore sicurezza e per l’ultima
alzata nel caso avessimo sbagliato la scelta del carico ma sicuramente non
serve durante tutte le ripetizioni. Abbassate il carico, l’ego, e ricominciate
da capo.
Dove mettere i piedi.
A terra. Ed è
prerogativa di ogni personal trainer che si rispetti capire e studiare l’anatomia
del corpo umano e la biomeccanica per poter spiegare efficacemente a TUTTI gli
utenti della palestra che l’arco nella panca NON fa male ma che è fisiologico
perché la colonna vertebrale presenta in natura una forma ad esse con due curve
cifotiche e due lordotiche.
Basta
sdraiarsi su una panca e appoggiare i piedi a terra che si percepisce che la
schiena non è completamente appoggiata alla panca ma che si forma un vuoto
proprio nella zona lombare, chi più chi meno a seconda della proprio curvatura
fisiologica. I panchisti esperti esasperano questa curvatura ma non incurvando
la zona lombare ma bensì aprendo sempre di più il petto per avere un angolo
migliore di movimento e avere un ROM più ridotto perché l’equazione è semplice:
meno ROM, meno strada da fare, più carico sul bilanciere.
Le persone che
accusano mal di schiena quando fanno panca con i piedi a terra è per via
dell’altezza stessa della panca. La panca deve essere di una altezza tale che le ginocchia siano leggermente più in alto
delle anche in modo tale che lo
psoas non si trovi in tensione con i femori e non “tirano” indietro la colonna
vertebrale.
Le panche da
gare di Powerlifting devo avere un’altezza compresa tra 40 e 45cm e quindi se
la nostra panca di allenamento fosse più
alta, tipo 50cm, basterà piazzare delle tavolette sotto i piedi di 6 cm per
rientrare nell’altezza giusta e ritrovarsi “comodi” sdraiati sulla panca.
Dove mettere le mani.
Scientificamente
parlando alcuni studi mostrano che l’impugnatura ideale è compresa tra un
intervallo che va dal 190% al 200% della distanza tra gli acromion ma in
maniera più pratica si può considerare una distanza massima tra gli indici
delle mani pari a 81cm (regolamento IPF).
Ovviamente in
base al tipo di atleta la distanza può variare poiché risulta effettivamente un
po’ larga per molti panchisti per questo basterà testare un po’ di prese
partendo dai 70cm di distanza e andando piano piano ad allargare.
Durante
l’esecuzione bisogna tenere l’avambraccio perpendicolare al terreno soprattutto
quando il bilanciere si trova al petto, per intenderci, da una visione
dall’alto, bisogna vedere avambraccio e gomito “nascosti” dalla mano, questa è
ovviamente l’angolazione migliore per generare più forza di spinta per tirare
su il carico. Extra o intra rotazioni dell’omero richiedono stressanti
stabilizzazioni dei muscoli della spalla che a lungo andare (o anche in
pochissimo tempo) portano ad avere grossi problemi e dolori a livello della
cuffia dei rotatori.
Set up panca e adduzione scapole.
A questo punto
abbiamo tutte le indicazioni per fare una panca decente ma ci manca ancora
l’informazione chiave, la parte più difficile, quella che fa del panchista un
vero panchista, quella che fa la differenza nella panca, sia per fare la forza
sia per fare ipertrofia ma soprattutto quella che ci permette di non
“strusciare” continuamente la cuffia sulla volta acromiale portando alla lunga
ad un’usura dei tessuti che hanno capacità rigenerative limitate.
Addure le
scapole permette, quindi, di aumentare lo spazio sub-acromiale e di “liberare”
la spalla tenendo semplicemente un atteggiamento di “Sull’attenti!” invece che
cifotico.
I passaggi
sono relativamente semplici ma spesso molto ostici da mettere in pratica però
basterà un po’ di pratica all’inizio da posizione seduta o in piedi con
l’utilizzo di elastici e bastoni e il concetto verrà metabolizzato dal vostro
cervello.
à per prima cosa si
manda il petto in fuori che farà inarcare la schiena poiché tireremo in su le
vertebre e non il contrario perché altrimenti avremmo una inarcatura delle
vertebre lombari, cosa non naturale e controproducente.
à a questo punto
adduciamo e deprimiamo contemporaneamente le scapole (avviciniamo e abbassiamo)
à come ultimo passaggio
extra ruotiamo leggermente l’omero per enfatizzare ancora di più il corretto
setup.
L’adduzione
delle scapole varierà così l’assetto delle leve meccaniche del movimento.
Alzando il petto il punto inferiore del bilanciere viene spostato più in alto
riducendo cosi il ROM. Inoltre questo spostamento indietro della spalla
rispetto al torace determina un maggiore allungamento dei fasci muscolari del
pettorale, quindi nella fase eccentrica il muscolo viene sottoposto ad uno
stretching maggiore con conseguente
maggior riflesso di stiramento (stretch reflex – riflesso miotatico) che
potenzia ulteriormente la contrazione concentrica.
Il Tartaro e i segreti dei Titani.
Il set up
scapolare è la prima piccola difficoltà degli eroi che vogliono diventare forti
come i Titani devono affrontare. Dopo di questo ci sono le porte del Tartaro,
luogo buio, tetro, angosciante che si trova addirittura al di sotto degli
inferi di Ade, ad una distanza pari a quella tra il cielo e la terra, dove
furono relegati i Titani da Zeus e i Ciclopi da Urano. Solo scendendo nel
cimitero dei mostri mitologici e tornandone vivi si può dire di essere
diventati dei bravi panchisti, panchisti che hanno appreso tutti i segreti di
questa alzata all’apparenza facile ma in realtà dura, truce e psicologicamente
distruttiva.
E allora scendiamo,
armati di magnesite e fasce per polsi, nel Tartaro, alla scoperta di questi
segreti mitologici.
Alzare il petto, sempre.
Appreso il set
up delle scapole bisogna iniziare a spingere il petto verso il bilanciere. Da
sdraiati su panca con le scapole ben fissate bisogna, durante tutta la fase
eccentrica, concentrarsi a rimanere con il petto più alto possibile con le
spalle che spingono verso il sedere e cercare di portare i pettorali verso il
bilanciere come a dire “prima tocco il
bilanciere prima posso spingere e uscire da questa posizione scomoda”.
Esatto. In panca si sta scomodi, se state facendo panca piana in posizione
comoda state sbagliando qualcosa, non tutto, ma quasi tutto.
In face
concentrica, invece, bisogna continuare a spingere il petto in alto. Ma dai,
ancora? Si ancora. Si continua a stare scomodi e a tenere il petto alto, sempre
attivo, e si spinge via il bilanciere pensando a sprofondare nella panca. La
sensazione deve essere non quella che allontano il bilanciere dal petto ma che
sono io ad allontanarmi dal carico spingendo la panca verso i meandri del
Tartaro come i veri impavidi guerrieri che non temono le fiamme dei Titani.
Spero che sia chiaro adesso quanto deve essere scomoda la panca per far si che
sia ottimale.
Il leg drive.
Il trucco più
bello, interessante e utile è sicuramente quello del leg drive ed ovviamente è
forse anche il più difficile da imparare. Le gambe piantate a terra non devono
fornire solo un supporto di bilanciamento passivo ma devono servire per
imprimere forza nell’alzata. Il nostro corpo non funziona a muscoli ma a
movimenti e i movimenti complessi richiedono una coordinazione neuromuscolare completa fra distretti muscolari
diversi che però alla fine risultano fra loro connessi.
Le gambe
premono decisamente al suolo, le cosce, i glutei, e la bassa schiena sono
contratti come se si volesse ruotare indietro il tronco, sprofondando cosi
nella panca. Questo, oltre ad aumentare tremendamente la stabilità del sistema,
crea un impulso nervoso che si trasmette fino alla vostre mani aiutandovi, e
non poco, nell’alzata sia nella fase eccentrica che concentrica.
L’arco.
Come detto
precedentemente quando ci sdraiamo su una panca, per terra oppure quando stiamo
in stazione eretta la nostra schiena tiene una curvatura lombare fisiologica.
Quindi quando ci posizioniamo per fare panca piana e ci settiamo come abbiamo
visto (scapole addotte, piedi a terra, contrazione generale) la curvatura
lombare fisiologica è presente. Nel powerlifting si cerca di aumentare il più
possibile l’arco attraverso esercizi di stretching e mobilizzazione, portando i
piedi dietro alla ginocchia ed esasperando il più possibile l’arco per cercare
di ritrovarsi il petto più in alto possibile per avere meno ROM possibile. In
questo modo, biomeccanicamente parlando, andiamo anche a posticipare il
passaggio ai muscoli secondari (tricipiti e deltoidi), andando a far lavorare
per più parte del movimento il pettorale che è il muscolo più grande e più
potente proprio perché andremo così a fare una panca leggermente declinata.
Fa male? Non
fa male? La risposta è ovviamente soggettiva poiché un arco da contorsionista
sarà sicuramente dannoso per uno che non ha mai fatto panca quindi l’arco va
allenato come allenereste i bicipiti per avere un braccio massiccio con
costanza, tanto tanto amore e pazienza!
Programmare la forza.
E finalmente,
dopo tanta pratica, è possibile ottenere una ottima esecuzione dell’esercizio ed è possibile iniziare a progredire con i carichi,
buttando giù una buona base di
programmazione.
In qualunque tipo di sport la
programmazione risulta essere la chiave del successo, allenatori, coach,
preparatori devono conoscere a fondo i loro atleti, i diversi biotipi, le
diverse problematiche fisiche e psicologiche per poter stilare un programma
cucito ad hoc su ogni singolo individuo.
Nel
sollevamento pesi l’abilità da sviluppare è indubbiamente la forza massima e
per far ciò non basta mettersi li ed alzare tonnellate di ghisa “come se non ci fosse un domani” ma è di
fondamentale importanza creare un piano di lavoro annuale tenendo bene a mente
quando ci sono le competizioni a cui vogliamo partecipare per poterci arrivare
freschi e mentalmente riposati.
Un piano
annuale va quindi ragionato nell’arco di 12 mesi e solitamente bisogna andare a
ritroso partendo dalla data della competizione suddividendo questo periodo in
fasi, sub-fasi, macrocicli e microcicli.
Le fasi sono essenzialmente tre:
·
Preparazione (creazione di una base
fisiologica),
·
Competitiva (perfezionamento tecnico)
·
Transizione
Mentre le
sub-fasi servono per una suddivisione più specifica e mirata per il genere di
allenamento da seguire come una preparazione generale, seguita da una
preparazione tecnico-specifica per poi passare ad una fase pre-competitiva di
allenamento e infine competitiva.
Ognuna di
queste sub-fasi è a sua volta composta da macrocicli che racchiudono
microcicli, ovvero le settimane di allenamento. Riuscire a lavorare con uno
schema annuale ben preciso permette al preparatore di studiare ogni singolo
periodo di preparazione nel minimo dettaglio ponendo degli obbiettivi durante
il percorso e capendo se sta andando nella direzione giusta.
Il piano di
lavoro annuale dovrà quindi seguire un iter che prevederà un adattamento
anatomico, uno sviluppo di ipertrofia se necessaria, lo sviluppo della forza
massima, una conversione a forza specifica ovvero a potenza, un mantenimento
della forza massima se il periodo di gare è lungo, una cessazione e infine un
breve periodo di compensazione.
Nel mondo del sollevamento pesi,
invece, le fasi sono ridotte e si avrà il seguente iter:
Ø
Adattamento anatomico
Ø
Sviluppo ipertrofia (se necessario)
Ø
Sviluppo della forza massima
Ø
Cessazione.
Adattamento anatomico.
L’obbiettivo
di questa fase è il coinvolgimento della maggior parte dei gruppi muscolari
utilizzando un programma multilaterale composto da un numero elevato di
esercizi, da nove a dodici, eseguiti in maniera abbastanza facile dall’atleta.
Il motivo risiede nel fatto che alcuni
gruppi muscolari potrebbero essere più deboli di altri ma in questo modo si ha la
possibilità di vedere in quali porzioni
muscolari bisogna lavorare maggiormente nelle fasi successive evitando
infortuni. I legamenti e i tendini inoltre si sviluppano più lentamente
rispetto ai muscoli, seguendo un protocollo più leggero così da dare a quest’ultimi il tempo di adattarsi e
crescere per sorreggere gli alti carichi di lavoro nella fase di forza pura. La
fase di adattamento ha una durata di 8-10 settimane negli atleti neofiti mentre
negli atleti più esperti è difficile che si superino le 3 settimane.
Dal punto di
vista tecnico si possono utilizzare diverse strategie di allenamento; una delle
più gettonate è il metodo a circuito
perché permette di distribuire il lavoro equamente su tutti i distretti
muscolari dando lunghi periodi di riposo tra un settore e l’altro, inoltre se
il circuito viene eseguito in stile “interval training” si può allenare
contemporaneamente anche l’attività cardiorespiratoria, skill molto importante
anche nel sollevamento pesi.
Altro metodo
molto utilizzato, non solo nell’atletica leggera e negli sport di velocità, è
quello di inserire lavori pliometrici a seguito di esercizi multi articolari
che interessino lo stesso distretto muscolare. Ad ogni modo, qualunque
strategia di allenamento di scelga il numero di ripetizioni ottimali risulta
essere quello di 20 che andrà a diminuire nel tempo fino a 10-8 tenendo sempre
a mente che il carico complessivo di lavoro non dovrà mai essere tassante per
l’atleta.
Sviluppo Ipertrofia.
Se durante la
fase di adattamento anatomico si individuano punti muscolari deboli è buona
cosa inserire del lavoro di ipertrofia specifico per evitare scompensi sempre
maggiori man mano che si procede con la programmazione. Questo tipo di lavoro
non deve assolutamente avvicinarsi al concetto di esaurimento muscolare
adottato nel bodybuilding ma anzi deve essere utilizzato come introduzione al
ciclo di forza massima che seguirà a breve. Il concetto base è che si dovranno
utilizzare carichi elevati ma con tempi di recupero minimi ed un alto numero di
serie allenanti per incrementare il contenuto proteico dei muscoli.
Per
semplificare il concetto si può suddividere questo tipo di allenamento in due
fasi:
àIpertrofia I
che prevede carichi tra 15RM e 10RM con recuperi brevi nell’ordine dei 60-90
secondi in cui vengono inseriti anche tecniche del bodybuilding come il
rest-pause o il drop-set per aumentare il TUT (time under tension).
àIpertrofia II è
invece un lavoro più vicino a quello della forza massima dove si utilizzeranno
carichi tra l’8RMe il 5RM con recuperi più lunghi ma mai completi (90-120
secondi) che andranno a stimolare non solo adattamenti strutturali ma anche
neurali.
Un esempio lampante
di distretto muscolare carente nei panchisti è una debolezza a livello del
trapezio e del deltoide posteriore. Una schiena forte è fondamentale per avere
una panca potente e nello specifico avere deltoidi posteriori massicci che permettano
all’atleta di gestire molto meglio la fase di set-up e soprattutto di fase
eccentrica dell’alzata.
Sviluppo forza massima.
Fino a qualche
anno fa si credeva che la forza fosse determinata principalmente dalla sezione
trasversa dei muscoli (il diametro) e questo è in parte vero ma ci sono altri fattori determinanti dell’aumento della
forza che sono gli adattamenti neurali come: la coordinazione intermuscolare
(abilità del SNC di organizzare tutti i gruppi muscolari di una catena
cinetica) e la coordinazione Intramuscolare (abilità del SNC di reclutare
volontariamente il maggior numero possibile di unità motorie e di inviare
impulsi nervosi ad un’altra frequenza).
Per allenare
la coordinazione intermuscolare
bisogna creare un piano di allenamento che prevede macrocicli suddivisi in 3+1
ovvero 3 allenanti e 1 di scarico dove si abbassa il volume e l’intensità. Il
carico degli esercizi principali salirà in maniera crescente dal 70% all’80% di
1RM.
In questa fase è fondamentale
l’apprendimento motorio del gesto per far ciò si richiedono molte ripetizioni
inserite nelle serie di “avvicinamento” a quelle allenanti partendo da carichi
del 40% dell’1RM. La continua ripetizione del gesto e feedback esterni da parte
del coach permettono all’atleta di creare uno schema motorio perfetto. È
importante prestare particolare attenzione alla fase concentrica del gesto che
deve essere fatta in maniera esplosiva e controllata, simulando ad ogni
ripetizione di essere li per tentare un nuovo Personal Record.
Riassumendo si andranno ad utilizzare:
Esercizi fondamentali:
2-6 ripetizioni
3-8 serie
2-3 minuti di recupero
Esercizi accessori
8-12 ripetizioni
2-3 serie
1-2 minuti di recupero
Frequenza 2-4 per microciclo
Successivamente
si andrà ad allenare la coordinazione intramuscolare
con macrocicli suddivisi in 2+1 con il carico che incrementerà in maniera crescente
dall’80% al 90% di 1RM.
In questa fase
valgono le stesse regole di quella precedente, qui le ripetizioni scendono
vertiginosamente, 1-3, e l’obbiettivo è sempre quello di sollevare i carichi nella
maniera più esplosiva possibile.
Allenarsi con carichi cosi alti è utile per eliminare l’inibizione del SNC di attivare
i muscoli antagonisti, eliminando l’azione contraria si avrà un maggior
reclutamento di unità motorie a contrazione rapida e di conseguenza un
incremento di forza.
Riassumento si andranno ad
utilizzare:
Esercizi fondamentali
1-3 ripetizioni
3-8 serie
3-5 min di recupero
Esercizi accessori
6-10 ripetizioni
2-3 serie
1-2 min di recupero
Frequenza 2-4 per microciclo.
Un metodo
particolare di allenamento della forza è il metodo Maxex Training che prevede una combinazione di esercizi con massima
tensione ed esercizi di esplosività. I carichi utilizzati sono molto elevati,
tra 85 e 95%, che stimoleranno un elevato reclutamento delle unità motorie a
contrazione rapida; il movimento esplosivo che ne segue incrementa la frequenza
di scarica alle unità motorie a contrazione rapida, preparando così l’atleta
alle azioni rapide ed esplosive richieste in tutti gli sport di velocità e
potenza. Esistono diverse tecniche che sfruttano questo principio e che
utilizzano i diversi metodi di allenamento della forza massima ma tutto sta
nell’obbiettivo prefissato e dal livello dell’atleta stesso.
Nella Panca
piana il Maxex training non è un metodo molto utilizzato ma se ben programmato
può risultare molto efficace nonostante che l’esecuzione di alcuni esercizi potrebbe
diventare ostica e difficoltosa. Un
esempio pratico è quello di programmare una ripetizione sub massimale con
eccentrica lenta, al termine della fase concentrica due spotter laterali
dovranno immediatamente levare i dischi fino ad avere sul bilanciere un 35-40%
dell’1RM con cui l’atleta dovrà fare 3-5 ripetizioni velocissime. Una situazione
più pratica sarebbe quella di eseguire questo tipo di esercizio al multipower
ma come abbiamo ben visto nella parte riguardante la biomeccanica il multipower
non permette di replicare una traiettoria veritiera di un gesto tecnico
perfetto.
Ma perché complicarsi così tanto la vita?
“Perché in ogni momento dell’alzata, in ogni fase angolare, raggiungere
il punto di forza massima nel minor tempo possibile significa imprimere un
impatto potentissimo sull’alzata.”
(Explosive strenght
deficit enhanced – Ado Gruzza – AIF – Dic 9,2011)
E allora
perché non inserire anche negli atleti di panca piana e di powerlifting in
generale la fase di sviluppo della potenza? Perché ci si allontanerebbe
dall’obbiettivo principale che è e resta sempre e comunque lo sviluppo della
forza massima. La fase di potenza utilizzata per altri sport come i 100mt, il
salto in alto, il lancio del peso è incentrata per far imprimere a quel
determinato atleta di quel determinato sport quella determinata spinta
necessaria che serve per compiere quel determinato movimento. Nel sollevamento
pesi invece si deve sempre raggiungere il massimo carico sopportabile e per
forza di cose la spinta massimale sarà sempre più lenta rispetto ad un carico
del 90 o 95% dell’ 1RM.
Nella panca
per allenare i punti deboli si utilizzano diverse strategie come prolungare il
fermo al petto, inserire più di un fermo a metà dell’alzata, inserire la panca
paralimpica ma queste strategie le vedremo nel capitolo dedicato più avanti.
Cessazione.
Finita la fase
di sviluppo della forza si entra nella settimana antecedente la gara dove
bisogna conservare le energie dell’atleta e aiutarlo a raggiungere il picco a livello delle abilità
biomotorie sport-specifiche conosciuta anche come supercompensazione
fisica e psicologica.
Da un punto di
vista psicologico il picco è uno stato di prontezza all’azione accompagnato da
un arousal emotivo intenso. Soggettivamente l’atleta prova una maggiore
autostima e un alto livello di motivazione, poiché percepisce la propria grande
prontezza fisica alla prestazione.
Questo picco di forma può essere
raggiunto tramite una strategia di riduzione del carico complessivo di lavoro:
il taper.
Il macrociclo
di tapering ha una durata massima di 3 settimane per non entrare in uno stato
di de allenamento escluso il nuoto in cui si arriva addirittura a 6 settimane
di scarico attivo.
La letteratura
scientifica consta di almeno 35 studi che indicano l’effetto positivo del taper
sulla prestazione sportiva. In uno studio condotto su 99 nuotatori tre
settimane prima delle olimpiadi di Sydney del 2000 i ricercatori hanno
dimostrato come la prestazione migliori mediamente del 2,18% (+/-1,5%) per 91
degli atleti (Mujika et al. 2002). A prima vista questo miglioramento sembra
insignificante ma lo stesso studio ha rivelato che il miglioramento indotto dal
tapering era maggiore della differenza di prestazione tra la medaglia d’oro e
il quarto posto e tra la medaglia di bronzo e l’ultimo posto nella finale
(1,6%).
Altri studi
hanno mostrato un miglioramento del rapporto tra testosterone e cortisolo
endogeno (Adlercreutz et al. 1986; Kuoppasalmi e Adlercreutz 1985),
evidenziando un miglior recupero, l’eliminazione della fatica residua e una
maggiore prontezza dei sistemi fisiologici dell’atleta nell’affrontare le
richieste di gara, specialmente quelle di tipo neurale.
I benefici sono quindi ormonali (incremento del testo stero e
dell’IGF 1, diminuzione del cortisolo) ma anche ematologici (incremento del volume cellulare, dell’ematocrito,
dell’emoglobina, dell’aptoglobina e dei reticolociti), biochimici (diminuzione del CPK, incremento del glicogeno) e psicologici (diminuzione della
percezione dello sforzo, minori sbalzi umorali, minor percezione della fatica,
maggior vigore e migliore qualità del sonno) (Mujika 2009).
Il taper prevede quindi una riduzione del
carico di allenamento pianificata e progressiva e l’eliminazione di fattori che
inducono stress, soprattutto nella sfera psicologica. Durante il taper, quindi,
non dovrebbero mai essere inseriti nuovi protocolli o nuovi esercizi.
Vi sono
diverse modalità di riduzione del carico di allenamento e vi sono anche diversi
tipi di atleti e situazioni differenti, per questo il preparatore deve essere
attento e preparato per scegliere la strategia migliore per ogni tipo di
atleta.
Per ridurre il
carico di allenamento possiamo andare a giocare manipolando il volume
(riduzione del 40-60%), l’intensità (5-10%) o la
frequenza (ridurre il numero di sessioni settimanali, sconsigliata nel
sollevamento pesi).
Personalmente
ritengo che il tapering migliore per una gara di panca piana sia da svilupparsi
in soli 7 giorni dove si cala di un 50% il volume di lavoro tenendo due giorni
ad intensità alta (80-90%) e altri due giorni ad una intensità intorno al 70%.
La panca paralimpica e i suoi utilizzi
nel powerlifting raw.
La panca
paralimpica è qualcosa di incredibile di sovraumano. Loro sono quegli eroi veri
che sono scesi nel Tartaro e sono tornati vivi e anche con diverse teste
mozzate di Titani. Basterebbe provare anche solo una volta a fare la panca con
le gambe distese, senza l’uso del leg drive, per capire la differenza.
Meno stabilità e zero aiuto di
spinta dalle gambe.
E c’è altro,
nel regolamento della panca paralimpica non solo c’è bisogno di totale simmetria
durante l’alzata ma non sono ammessi rallentamenti del bilanciere, questi
atleti sono obbligati a sparare il carico in alto più veloci della luce.
Facile? No, non lo è, provate a sparare il vostro massimale senza rallentamenti
visibili e poi riparliamone.
Se provate a
scrivere panca paralimpica su google non esce praticamente nulla, solo ranking,
qualche articolo per le olimpiadi e mondiali, ma di tecnico non c’è nulla.
Tocca aprire youtube e guardare i video, studiarli, analizzarli e capire cosa stanno
facendo questi atleti perché sono sempre stato un fermo sostenitore che
inserire la “panca senza gambe” in una programmazione di forza per un atleta
normodotato sia uno spunto di lavoro importante e che può dare un transfer
potentissimo all’alzata.
Imparare a
fare panca senza gambe ci obbliga a diventare dei fenomeni nel set up delle
scapole e a gestire il carico in fase di eccentrica scaricandolo completamente
sui dorsali contratti.
Dalla mia
esperienza personale posso dire che tutti i powerlifter dovrebbero inserire la
panca paralimpica nei macrocicli più distanti dalle gare lavorandola anche due
volte a settimana con carichi intorno al 80-85% ad alto volume concentrandosi
soprattutto nella fase eccentrica del movimento cercando di spingere ancora di
più le scapole verso il sedere. Non male sarebbe anche inserire carichi del
100% dell’ 1RM per gestire la fase eccentrica, ovviamente facendosi aiutare
nella concentrica da un paio di spotter. La fase concentrica invece la
“curerei” con le percentuali dette all’inizio del discorso sparando il
bilanciere come se avessimo due cannoni al posto delle braccia continuando,
ovviamente, a tenere il giusto set up scapolare. Ad ogni scapola che “scappa”
fuori una serie di plank con 70kg da 1 minuto per punizione in pieno stile
“Agonia del Tartaro”.
Dopo 4-6
settimane trascorse a lavorare cosi tornerei ad inserire il leg drive e come
accessorio per la panca inserirei la partenza dai PIN al petto. L’atleta adesso
dovrebbe aver acquisito maggior controllo scapolare e quindi un set up migliore
per gestire alti carichi in partenza dai PIN dal petto. In questa fase se
l’atleta non riesce ancora ad avere un set up perfetto i plank zavorrati li
dovrà fare il coach per redimersi dai suoi errori.
Intervista a Martina Barbierato e
Giampiero Lombardo
Non vi è un
libro dove studiare e non sono riuscito a trovare neanche delle dispense; per
questi motivi mi sono rivolto direttamente alla fonte. Ho chiesto la
disponibilità a due atleti di panca paralimpica a rilasciarmi una intervista per
farmi spiegare qualcosa di più, per “rubare” importanti e solidi consigli
tecnici.
Gli atleti in questione sono Martina
Barbierato Settimo Posto alle Olimpiadi di Rio del 2016 e Giampiero Lombardo
Campione Italiano 2017
Martina: “In ambito Fipe la differenza sostanziale è il mancato appoggio
delle gambe a terra e la posizione completamente supina, dopodiché per ovviare
il problema di eventuali sbilanciamenti il regolamento permette l’utilizzo di
“straps” o volgarmente parlando “fasce per le gambe”. Solitamente le si
posiziona nelle zone appena sotto il pube, sopra e sotto l’articolazione del ginocchio e sopra la
caviglia. Non sono obbligatorie in campo gara, sono a discrezione dell’atleta
ma possono essere in alcuni casi proibite, come nelle amputazioni molto alte,
perché andrebbero a schiacciare i genitali provocando un aumento di produzione di
testosterone. In alcuni casi se l’atleta ha una rigidità dell’arto inferiore
parecchio accentuata è concesso l’utilizzo di spessori tra la panca e l’incavo
del ginocchio. A confronto con l’ambiente Fipl, invece, variano proprio i
comandi che il giudice comunica all’atleta: “start” e “rack” in Fipe mentre il
“press” può essere comunicato dall’allenatore.”
Giampiero: “Come hai ben detto la differenza principale sta appunto
nella mancanza del leg drive. Diventa quindi fondamentale lavorare sul set up e
sul non perdere mai l’impostazione durante tutta l’alzata. Nel mio caso
specifico, avendo una patologia detta artogripposi multipla congenita che
colpisce soprattutto le articolazioni, è importante lavorare tanto sulla
mobilità articolare, come ad esempio quella scapolo-omerale, per far si che il
set up diventi efficace!”
La canonica misura degli 81cm di distanza tra gli indici della mano è
rispettata anche nella panca paralimpica o si tende ad usare prese più strette
per non perdere l’equilibrio?
Martina: “In ambito paralimpico, nazionale ed internazionale, la
misura degli 81cm è la massima apertura che un atleta può tenere qualunque sia
la categoria di peso o stazza, tieni presente che nel parapowerlifting
gareggiano anche persone affette da nanismo come Justina Kozdryk e anche
persone con problemi derivati da gigantismo come Siamand Rahman. Lo stringere o
allargare la presa fino agli 81cm è a discrezione dell’atleta o degli
allenatori che suggeriranno il miglior settaggio possibile durante gli allenamenti.”
Giampiero: “Più che altro questa è una cosa soggettiva anche se
posso raccontarti la mia esperienza che in un certo senso avalla la tua tesi.
Io personalmente utilizzavo, fino a qualche mese fa, una presa larga come tanti
altri miei colleghi dopo l’Europeo, però, ho deciso di impostare la nuova
programmazione con una presa molto più stretta. Devo dire che la sensazione è
quella di essere più stabile, soprattutto in fase eccentrica e questo mi
permette di mantenere meglio il set up. Per quanto riguarda la spinta, invece,
non ho notato tanta differenza!”
Ho notato che la traiettoria del bilanciere è differente tra le due
panche: quella paralimpica sembra che in fase concentrica vada in diagonale
verso la faccia. È cosi?
Martina: “Credo che sia dovuto al fatto che senza l’appoggio delle
gambe a terra sia la normale e più efficace proiezione che il corpo possa
raggiungere. Prova a fare il paragone con un arco effettuato con le gambe a
terra e uno con le gambe in posizione supina.”
Giampiero: “Si è vero in parte. Nel senso che questo però dipende
da quanto si è bravi a mantenere la stabilità delle spalle in fase di spinta. È
come se dovessi “spingerti sulla panca con le spalle”. Quando questo non
avviene anche la traiettoria assume una curva diversa!”
Il regolamento vi obbliga a non avere rallentamenti nell’alzata. In che
modo allenate questo problema? Inserendo macrocicli di sviluppo della potenza?
Martina: “Ci possono essere svariate strategia di allenamento per
ovviare a questo problema. Io sono stata sottoposta a macrocicli con
sovraccarichi oltre il 90-100%, utilizzando le classiche negative, oppure
sottoposta a delle alzate con carichi al di sotto del 100% del massimale ma con
tempi prestabiliti di fase eccentrica e concentrica. Un’altra cosa che il
giudice può vedere come un rallentamento o addirittura un fermo intermedio può
essere una traiettoria ad “s” che da l’illusione di interrompere il movimento
nonostante lo si stia solo traslando in orizzontale per questo gli allenamenti
che facevo erano con un volume medio di alzate ma con carichi elevati. Alle
volte si utilizzano anche dei semplici elastici per imparare a gestire la
traiettoria giusta con una variazione di tensione.”
Giampiero: “In termini di regolamento non ci devono essere pause
durante l’alzata più che veri e propri rallentamenti. Per rispondere alla
domanda ti dico che facciamo tanti esercizi per lo sviluppo della potenza come
ad esempio uno dei classici che può dare tanto transfer sono le spinte dal
basso (dai PIN) che non mancano mai nelle programmazioni.”
Cosa è per te questo sport?
Martina: “Questo sport per me è stato il primo amore, credo che
nessun’altra disciplina sportiva potrà mai regalarmi l’adrenalina che partecipare
mi provoca, è stata anche un trampolino di lancio per crescere e formarmi una
mia regola di vita, come può essere l’alimentazione e lo stile.”
Giampiero: “Bella domanda! Ti rispondo con il mio slogan preferito
“keep on lifting, keep on moving!” spostare un kg in più è sempre la vittoria
più bella. Faccio questo sport non per portare a casa medaglie ma per
dimostrare a me stesso che nulla è impossibile e che bisogna sempre combattere
per essere felici. Lo sport ha una grande valenza sociale in generale e in
questo caso ancora di più, vogliamo essere un esempio per tutte le persone che
vivono delle difficoltà quotidiane! Forse è un discorso troppo pretenzioso ma è
quello che penso. È uno sport che ti fa sentire vivo e che sta diventando
sempre di più una grande realtà anche in Italia. Questo è senza dubbio merito
della Fipe che ha saputo valorizzarlo e dargli tanta importanza, merito dei
tecnici e delle società che stanno portando avanti questo lavoro in maniera
fantastica e merito anche dei tanti atleti che ogni anno sempre di più
partecipano alle gare!”
Conclusioni
Che dire
quindi? Non c’è cosa migliore e più bella di imparare qualcosa dagli altri,
confrontarsi e migliorare insieme.
Avevo
contattato questi ragazzi per un aiuto per completare questa piccola tesi sulla
panca piana e mi sento di esserne uscito molto più ricco.
Li avevo
contattati su posta privata su Instagram e nel giro di pochi minuti mi hanno
risposto entusiasti inviandomi le loro mail per rispondere alle mie domande.
Neanche un ora e già avevo le loro risposte. Neanche 5 minuti per leggere tutto
d’un fiato quello che avevano da dirmi.
La passione
per questo sport e l’adrenalina che ti rilascia è qualcosa di unico e solo
facendolo si riesce a capire. Ho praticato altri sport e sono tutti
meravigliosi ma il powerlifting, per me, ha qualcosa in più, l’emozione che ti
pervade quando chiudi una buona alzata in pedana è qualcosa di magico
soprattutto dal punto di vista psicologico perché in quei due minuti che
sembrano una eternità sei solo te contro te stesso.
Chiudere ogni singola alzata, anche in
allenamento, deve essere vista come una vittoria, uno schiaffo in faccia verso
le avversità.
Il
powerlifting e il sollevamento pesi si dice che siano sport individuali ma non
è assolutamente vero, non mi sono mai sentito solo durante gli allenamenti, in
pedana e neanche nei momenti fuori dalla palestra; si è sempre in contatto con
il coach e gli altri atleti, ci si prende in giro e ci si confronta e
soprattutto ci si sfida ogni giorno, perché la sana competizione è l’arma
vincente, sempre, sia per ottenere una medaglia sia per prendersi un posto in
questa vita a volte troppo dura.
Francesco
Riccetti
Bibliografia
v
Periodizzazione dell’allenamento sportivo –
Tudor Bomba, Prof. Carlo A. Buzzichelli – Calzetti Mariucci Editori
v
DCSS Power mechanics for power lifters – Paolo
Evangelista – Sandro Ciccarelli Editore
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